Basilica Imperiale di Santa Croce al Chienti

Nei prossimi post vi riporto alcune informazioni utili per godere a pieno dei luoghi che visiterete nella prima tappa del viaggio (su questo link trovate il percorso del primo giorno). Dopo aver percorso tutto il lungomare e la bella pineta, risalendo la Val Chienti incontrerete la Basilica Imperiale di Santa Croce al Chienti.

BASILICA IMPERIALE DI SANTA CROCE AL CHIENTI

Storia del luogo: Antichi documenti (in realtà è il documento più antico che esista nelle Marche) la fanno risalire addirittura al 887 D.C. quando fu inaugurata alla presenza di 19 Vescovi del Ducato di Spoleto, 27 Canonici, vari Principi, dell'Imperatore e del Vescovo di Fermo, del Capitolo di Fermo. In origine la chiesa doveva essere a tre navate, ma nei secoli venne più volte trasformata allungandola e aggiungendo una piccola cripta nella zona presbiteriale.

Basilica Imperiale di Santa Croce al Chienti - Settembre 2010

Annessa alla Basilica era presente anche un Monastero, ora scomparso. Nel 1219 la Basilica venne chiusa e i monaci dispersi. Nel 1749 venne apposta una lapide sulla parete, tuttora esistente, a ricordo della sua fondazione. In stato di abbandono per secoli, nel 1790 il complesso monastico fu ridotto ad un casale agricolo, ricavando dalla chiesa un granaio, soppalcando la navata centrale, un'abitazione nella parte absidale ed una stalla nella navata destra. L'incuria e l'abbandono non potevano che progredire inesorabilmente, tanto che sul finire dell'Ottocento qualcuno ebbe a scrivere: "quanto meglio sarebbe stato se il tempo e l'ignoranza avessero anch'essa [la basilica] pareggiata al suolo! ... lasciate che io gridi forte alla profanazione vandalica! ... La gente ignorante del IX secolo seppe erigerla e farla grande - la intelligente, la saggia, la scienziata dei secoli nostri non seppe che ridurla così questa povera Basilica! Vergogna!". Parole lontane, ma ancora molto attuali.

Interno della Basilica dopo il restauro; attualmente ancora chiusa al pubblico - Settembre 2010
Attualmente è stata quasi completamente restaurata ed è in progetto di renderla visitabile al pubblico. Nei dintorni si stanno anche realizzando dei percorsi ciclabili così da poter ammirare tutto l'antico territorio degli abati di Santa Croce.

Orari di visita: Ad oggi, la Basilica non è ancora visitabile, perché appena restaurata.

Fonti: Wikipedia | Castelli, Rocche, Torri, Cinte fortificate delle Marche (i castelli dello Stato di Fermo) - vol.IV, Tomo II - M. Mauro - 2001 | Insediamenti romani e medievali nei territori di Civitanova Marche e Sant'Elpidio a Mare - V. Galiè - 1988.

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Posted by Unknown | alle sabato, dicembre 11, 2010 | 0 commenti

Centr'Italia coast to coast

Come forse molti lettori avranno già capito sono marchigiano e adoro la mia terra. Da qualche anno a questa parte ho in mente di fare un viaggio "alternativo" che mi permetta di godere a pieno dei luoghi visitati, non solo delle Marche, ma anche di altre regioni. Proprio per questo motivo ho deciso di percorrere la nostra cara Italia in bicicletta da Ovest ad Est toccando, di volta in volta, luoghi, secondo me, significativi. Il viaggio partirà dalla costa Adriatica (Porto Sant'Elpidio) e terminerà con l'arrivo al mar Tirreno. La meta ancora non l'ho decisa, sono in dubbio tra la Toscana (che comunque attraverserò) e la Liguria. Dato che ho sempre poco tempo per dedicarmici ho iniziato ad organizzare il viaggio molto in anticipo, sperando un giorno di essere pronto per partire. 
Porto Sant'Elpidio - luogo di partenza del viaggio
Nei prossimi post dedicati a questo evento riporterò il percorso, tappa per tappa, con i luoghi che intendo visitare e alcune nozioni storiche che ho trovato al riguardo. Al mio ritorno inserirò anche il diario di viaggio e gli scatti più belli di questa avventura tanto attesa. Un saluto a tutti. :)

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Posted by Unknown | alle mercoledì, ottobre 20, 2010 | 3 commenti

Settembre 2010 - La Natura dà, la Natura toglie

la Natura dà, la Natura toglie
Inizio Settembre. Ci troviamo sulla spiaggia nord di Porto Sant’Elpidio, nei pressi della foce del fiume Chienti. Qui la spiaggia ancora non possiede i caratteri propri dell’immaginario collettivo. Gli chalet, gli ombrelloni e i lettini sono più a sud. In questo luogo la natura cerca ancora di prendere il sopravvento. Lo vediamo anche da questa foto: gli arbusti che nascono sulla sabbia sono cose impensabili ai giorni nostri. Oramai si possono ammirare solo nelle aree protette. L’edificio, probabilmente un tempo abitato, è stato abbandonato a se stesso; il resto lo ha fatto il mare. Giorno dopo giorno la sua azione erosiva ha rosicchiato centimetri e centimetri di spiaggia fino ad arrivare a ridosso della costruzione. Scalzate le fondamenta, il resto è venuto da sè. Ora non resta che questo rudere. Qualche artista ha voluto lasciare anche il suo segno dando una parvenza di vita a questa rovina altrimenti inanimata. Vita breve perché ad ogni nuova mareggiata un pezzo in più se ne andrà, fino a rimanere più nulla. Qui la natura si riappropria ancora di ciò che le è stato tolto.

Aggiornamento del 21/11/2010: La foto ha partecipato al concorso "Porto Sant'Elpidio in un click - 1° Memorial Dante Pangrazi" organizzato dall'Assessorato alla Cultura di Porto Sant'Elpidio in occasione della festa patronale. Si è piazzata al 5° posto nella votazione popolare e si è contesa il primo posto secondo la giuria tecnica. La giuria tecnica ha espresso il seguente giudizio: "La foto numero 53 di Nicola Pezzotta è un immagine caratterizzata da un intenso impatto colore. La scena ripresa e “disegnata” con segno vagamente naif vuole raccontare/rappresentare un terrain vague la cui composizione emula e restituisce, seppure in modo esasperato, un forte stile Ghirriano. Il luogo “raccontato” è la rappresentazione tangibile dei pochi spazi rimasti “scarcerati” e ricchi di spontaneità liberata, quasi anarchica, che sopravvivono all’assalto dei non-luoghi che al contempo si contrappongono."

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Posted by Unknown | alle venerdì, ottobre 01, 2010 | 7 commenti

Agosto 2010 - Al di là delle nuvole

Al di là delle nuvole
D'ora in poi, all'inizio di ogni mese, condividerò con voi lo scatto, a mio parere, più bello. Le foto, ovviamente, le ho fatte io! :) Spero vi piacciano.

Ci troviamo in Abruzzo, fine Agosto. Le nuvole vanno e vengono a quest'altitudine. Siamo, infatti, a circa 2500 metri nel bel mezzo del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga. Quella casetta che vedete sul limitare dello sperone roccioso è il Rifugio Franchetti. Quasi tutti quelli che vogliono scalare questa montagna pernottano qui. Stiamo parlando del mitico Corno Grande del Gran Sasso D'Italia ed è proprio quello che vedete sullo sfondo. Dal rifugio partono diversi percorsi, di differenti difficoltà. E proprio su uno di questi percorsi che mi sono avventurato insieme agli altri soci del CAI di Fermo per raggiungere la Vetta Occidentale. Ben 2912 metri! Il sentiero è molto impegnativo per i non allenati, e, inoltre, lo sconsiglio vivamente a chi soffre di vertigini. Ma lo spettacolo dalla cima è davvero unico. Sicuramente ve ne parlerò in uno dei prossimi post.
Con questa rubrica ci vediamo il prossimo mese! Ciao :)

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Posted by Unknown | alle giovedì, settembre 02, 2010 | 0 commenti

Sant'Elpidio a Mare e i Cavalieri di Malta

Che cosa c'entra Sant'Elpidio a Mare, paesino di quindici mila abitanti immerso nelle campagne del sud delle Marche, e Malta, affascinante isola situata al centro del Mar Mediterraneo? In realtà con l'isola in questione praticamente nulla. Il legame è invece con i Cavalieri di Malta (conosciuti anche come Cavalieri Ospitalieri o Ospedalieri o Cavalieri dell'Ordine dell'Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme o Cavalieri di Rodi). Sono infatti grazie a questi che fu portata a termine nel XIV secolo.

Torre Gerosolimitana - Sant'Elpidio a Mare - Luglio 2007
LA TORRE GEROSOLIMITANA

La "superba torre" (Medaglia, 1692), portata a termine nel XIV sec. con il contributo dei Cavalieri Gerosolimitani, altrimenti noti come Cavalieri di Malta, rappresenta per alcuni aspetti il più enigmatico esemplare tra le opere fortificate delle Marche, dal momento che ancor oggi sono molte le ipotesi sul suo significato simbolico e sulla sua effettiva utilità.

Torre Gerosolimitana lato est - Sant'Elpidio a Mare - Ottobre 2009
La struttura
La torre, eretta nel punto più alto della città, si eleva per circa 28 metri con 8,20 metri di lato. La pianta quadrata è determinata esternamente dalle spesse mura perimetrali (1,60 metri), costituite da una meticolosa tessitura laterizia uniforme per l'intera superficie, con cantonali in conci di calcare bianco su tutta l'altezza dei quattro spigoli (escluso il parapetto superiore).


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Posted by Unknown | alle venerdì, agosto 13, 2010 | 0 commenti

Un messaggio dal passato

Eccomi qua. Dopo più di un mese torno a scrivere qualcosa nel mio (nostro) blog. Nel frattempo, però, mi sono anche laureato. Ma questa è un altra storia! :) 
In questo post vi vorrei parlare, invece, di una delle chiese che più mi affascinano tra quelle presenti nella città di Ancona: Santa Maria della Piazza. Mi concentrerò in particolare sul portale, e sul significato dei suoi simboli. Anche la sua storia è molto interessante, ma spero di poterne parlare in un altro post.
Santa Maria della Piazza - Ancona
Il luogo su cui sorge Santa Maria della Piazza (in origine chiamata anche Santa Maria del Canneto e poi Santa Maria del Mercato) ha un qualcosa di mistico. Infatti in questo posto sorgeva, già nel IV sec., una chiesa paleo-cristiana, i cui resti sono visibili tutt'ora al di sotto dell'attuale pavimentazione. La facciata è opera di Maestro Filippo che, nel 1210, la ornò così come oggi la vediamo. All'originario paramento in pietra (del Conero) con frammisti pezzi erratici provenienti dall'antica basilica paleo-cristiana, l'architetto addossò quattro ordini di archetti cechi sovrapposti. Al centro della facciata è presente il portale a  strombo incorniciato da un fregio riccamente scolpito. Sopra il portale, al centro, è la figura della Vergine Orante e a sinistra il busto dell'Arcangelo Gabriele. Il fregio del portale comprende numerose decorazioni di carattere romanico, che si materializzano nella pietra con forme particolari: negli avvolgimenti delle foglie di vite si osservano figure di mostri, di arcieri, di guerrieri e di animali; in alto, al centro, è l'immagine del Cristo. Nel fregio, dunque, sono presenti i classici motivi romanici, che ad un'analisi più attenta, però, risultano ordinati come in un discorso logico dai contenuti simbolici: un discorso di pietra.



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Posted by Unknown | alle mercoledì, luglio 28, 2010 | 4 commenti

Il Lago di Pilato tra storia e leggenda/2

Dopo aver parlato, nel post Il Lago di Pilato tra storia e leggenda/1, della storia naturale del Lago di Pilato e dei suoi "abitanti" entriamo nelle leggende di questo luogo e nella sua storia mistica fatta di diavoli e negromanti.
La fama del Lago di Pilato inizia a crescere nel 1200. In questi anni molti stregoni si recano qui per consacrare i loro libri al demonio, anche se il lago non è ancora conosciuto come Lago di Pilato. In alcune mappe dell'epoca, infatti, si parla di Lago di Norcia (o addirittura Lago d'Averno, come l'omonimo lago in Campania). La leggenda del corpo di Pilato sembra ancora non essere nata nel XIII secolo. Il documento più antico riguardante il Lago di Pilato è questo:

"Egli [un certo prelato sommamente degno di fede, n.d.a.] diceva infatti che tra i monti vicinissimi a questa città [Norcia, n.d.a.] c'è un lago dichiarato da antichi demoni loro proprietà ed abitato da essi sensibilmente; nessuno oggi, all'infuori dei negromanti, si può avvicinare ad esso senza essere rapito dai demoni. Perciò attorno ai bordi del lago sono stati costruiti dei muri che sono conservati da custodi affinché ai negromanti non sia permesso avvicinarsi lì per consacrare i loro libri ai demoni. Perciò cotesto è ivi sommamente terribile perché ogni anno quella città invia ai demoni come tributo un uomo nell'ambito delle mura vicino al lago, i quali demoni subito subito visibilmente lacerano e divorano quell'uomo poiché (come dicono) se la città non lo facesse, la patria perirebbe per gli uragani. Pertanto la città ogni anno sceglie un qualche criminale e lo invia come tributo ai demoni."
da "Reductorium Morale" di Pietro Bersuire - sec. XIV

Si capisce, quindi, come già il lago fosse molto conosciuto nel 1300; tanto conosciuto da costringere gli abitanti di Norcia a realizzare dei muri per impedire questo continuo viavai di stregoni. Flavio Biondo nella sua Italia Illustrata dei primi anni del 1400 aggiunge un altro tassello:

"[...] e poco sopra [alla grotta chiamata comunemente della Sibilla, n.d.a.] c'è quel lago nell'Appennino nel territorio di Norcia che raccontano con vana menzogna essere pieno di demoni, in luogo dei pesci. Tuttavia quella fama dei due luoghi [la grotta della Sibilla e il Lago, oggi di Pilato, n.d.a.] nei secoli precedenti sedusse molti e parecchi che si dilettavano di negromanzia o erano abili di conoscere cose mirabili per salire su questi ardui monti con grande ed inutile fatica."
da "Italia Illustrata" di Flavio Biondo - sec. XV

In questo documento, oltre a veder rafforzare la tesi della negromanzia, si parla di demoni all'interno del lago in luogo dei pesci. Questi "demoni" sono i minuscoli crostacei, unici al mondo, detti  Chirocefali del Marchesoni, dal nome del suo scopritore (ne parlo nel post "Il lago di Pilato: tra storia e leggenda/1"). La fama di questo luogo aumenta a dismisura e proprio durante il XV secolo si iniziano a trovare  i primi riferimenti al Lago di Pilato. Storicamente, prima del Lago di Pilato si parlò del Monte di Pilato (Monte Vettore). In quel periodo la leggenda sulla morte del preconosole romano in Giudea erano diffuse in tutta Europa. C'è un Lago di Pilato anche vicino Lucerna in Svizzera. Prima di parlare della leggenda più conosciuta, vorrei soffermarmi ancora sul rito di cosacrazione dei libri al demonio. Fra Bernardino Bonavoglia è illuminante su questo tema:

"A questo luogo vengono uomini diabolici da luoghi vicini e lontani e costruiscono qui altari con tre cerchi e ponendosi con un'offerta nel terzo cerchio chiamano il demonio col nome che vogliono leggendo un libro da consacrare al diavolo. Questi venendo con grande fragore e grida dice: - Perché mi cerchi? - Risponde: - Voglio consacrare questo libro, cioè voglio che tu sia tenuto a fare tutto quello che è scritto in esso ogni qual volta ti invocherò e per il tuo lavoro ti darò la mia anima. - E così, firmato il patto, il diavolo prende il libro e segna in esso alcuni caratteri, e d'allora in poi leggendo il libro il diavolo è pronto a fare malamente ogni cosa. Ecco come sono presi quei disgraziati e dannati uomini. Una volta accadde che un tale mentre voleva consacrare il libro nel modo predetto, stando nel cerchio lì fatto, chiamò un certo demonio, ma gli fu risposto che egli non era lì, ma era andato nella città di Ascoli, per far morire molti di spada tra gli esuli e i cittadini che governano; ciò fatto, egli ritornerà subito a fare ciò che tu chiedi. Meravigliato quell'uomo di tale risposta, si incamminò per Ascoli per conoscere la verità di così grande fatto e giunse al luogo dei frati minori, dove allora risiedeva il santissimo frate Savinio di Campello; giunto là, espose per ordine tutte le cose fatte e seppe che la notte precedente fra gli esuli, trenta furono impiccati nella piazza e tra gli uccisi con la spada da ambedue le parti fu grande la strage nella città. Conosciuto ciò, decise fermamente il sopraddetto uomo di allontanare l'arte magica e degli incantesimi considerando che è grande l'astuzia del demonio a catturare le anime ed a prenderle. Ciò riferì il sopraddetto santo padre Savinio ad un certo frate nostro predicatore."
da un manoscritto del sec. XV - Fra Bernardino Bonavoglia

Qui sotto ho riportato anche un'illustrazione di qualche secolo successivo in cui si possono notare i cerchi di cui abbiamo appena parlato.
Lago di Pilato - Biblioteca Vaticana - sec. XVI
Continuando la nostra indagine sui documenti riguardanti il Lago di Pilato troviamo un interessante scritto di A. Reumont:

"Sul Monte [Monte di Venere, probabilmente il Monte Vettore, n.d.a.] c'è un laghetto accanto al quale sta una cappellina con un piccolo altare. A quel che ci disse il castellano, al tempo della necromanzia, si facevano ivi esorcismi, durante i quali l'acqua del laghetto alzavasi in forma di nuvola ricadendo poi a terra con fracasso come di tuono e allagando tutto il paese, sicché non poteva farsi raccolto. Il popolo si lagnò col castellano, il quale eresse una forca tra cappella e lago con proibizione di qualunque atto di necromanzia."
"Viaggio in Italia del Cav. Arnolfo di Harff di Colonia sul Reno" di A. Reumont - 1497

Quindi a quanto pare, in quel periodo, nei pressi del lago doveva essere stata eretta una cappella e una forca per intimorire gli alchimisti di salire fino al lago a svolgere i loro riti. Tornando ai cerchi posti nei pressi del lago Nicolò Peranzoni aggiunge un altra cosa:

"Due sono le cause per cui vanno a compiere [i negromanti, n.d.a.] ciò [consacrare i libri al demonio, n.d.a.]nel lago di Pilato: primo perché quel lago è lontanissimo dalle relazioni con gli uomini [... in secondo luogo] perché ivi sono incastrati due cerchi incisi sulle pietre vicino all'argine del lago con alcuni caratteri, che dicono necessari a raggiungere l'arte magica; alcuni dicono che li abbia scritti il poeta Virgilio, altri Cecco d'Ascoli."
"De Laudibus Piceni" di Nicolò Peranzoni - 1795

Infatti molti autori del '500 e '600 considerano Cecco d'Ascoli uno dei più assidui e autorevoli frequentatori del lago. Cecco d'Ascoli, come molti intellettuali del suo tempo, si dedicò allo studio dell'astrologia e dell'alchimia, discipline non esplicitamente vietate ma che spesso potevano sfociare in dottrine eretiche. Infatti fu condannato al rogo dall'Inquisizione e morì arso davanti alla chiesa di Santa Croce a Firenze il 16 Settembre 1327. Nella lingua di terra che divide i bacini complementari del lago di Pilato, negli ultimi tempi, è stata ritrovata una straordinaria testimonianza. La "Gran Pietra" è una roccia piatta che reca incise sulla sua superficie misteriose lettere. Poiché la pietra è stata ritrovata nel punto in cui verosimilmente i negromanti effettuavano i loro riti blasfemi, si può ipotizzare un qualche collegamento con essi. Lo studio dei suoi segni sono ancora in atto.
La "Gran Pietra" prima dello spostamento al Museo della Grotta della Sibilla







La "Gran Pietra" si trova attualmente esposta al Museo della Grotta della Sibilla a Montemonaco, ma, ahimè, il museo, per la scarsità dei fondi, è attualmente chiuso e non è certa la data della  sua riapertura. Entriamo ora nella leggenda del Lago di Pilato più raccontata, e quindi più conosciuta. La fonte è lo scritto di Antoine de La Sale, che va a riportare le testimonianze dei popolani raccolte in quell'epoca nella zona di Norcia (1420):

"E ancora le genti dicono che, quando Pilato vide che non poteva più salvarsi la vita, supplicò una grazia che gli fu accordata. Dunque domandò che, dopo la sua morte, il suo corpo fosse messo su di un carro trainato da due paia di tori, e fosse lasciato andare là dove lo avessero portato i tori alla ventura. E così dicono che fu fatto. Ma l'imperatore, che si meravigliò di questa richiesta, volle sapere dove il carro si sarebbe diretto: così lo fecero seguire, finché i tori giunsero al bordo di questo lago [lasciando sul monte le impronte del carro come dice Nicolò Peranzoni, si veda la foto qui sotto].
il segno lasciato, secondo la tradizione, dai tori trainanti il carro con il corpo di Pilato.
I tori vi si gettarono dentro con il carro e il corpo di Pilato così velocemente che a seguirli si sarebbe dovuto correre il più celermente possibile. Ed è per questa ragione che è detto Lago di Pilato. [...] Questo lago, secondo la mia approssimazione, è come la cinta della città di Moulins. Al centro c'è una piccola isola rocciosa, che una volta era cinta di mura tutt'intorno, ancora vi sono le fondamenta delle mura in diversi punti. Dalla terra a quell'isola c'è un piccolo passaggio coperto d'acqua ad un'altezza di cinque piedi, come mi dissero quelle genti. Tale passaggio fu distrutto, in un modo che non si può immaginare, dagli abitanti del paese, e questo perché quelli che andavano nell'isola a consacrare i loro libri per l'arte della negromanzia non la potessero trovare. Quest'isola è molto sorvegliata e difesa dalle genti del paese perché quando qualcuno ci viene e pratica l'arte del diavolo, dopo si scatena una tempesta così vasta per il paese che rovina tutti i frutti e i beni della zona. E per questo motivo quando la gente del paese, che è sempre molto vigile a questo riguardo, vi sorprende qualcuno, questi è mal accetto. Non è passato molto tempo che vi furono presi due uomini, di cui uno era un prete. Il prete fu condotto alla già detta città di Norcia e là fu torturato ed arso; l'altro fu tagliato a pezzi e poi buttato dentro il lago da coloro che lo avevano preso."
"Il Paradiso della Regina Sibilla" di Antoine de La Sale - 1420

Qui sotto riporto anche una illustrazione fatta da de La Sale contenuta nel suo libro:
Biblioteca Nazionale di Parigi - Antoine de La Sale - 1420
Oltre alla leggenda citata dal de La Sale riguardante il Lago di Pilato, ne gira anche un'altra, forse meno conosciuta. Si dice che Pilato, dopo aver effettuato qualche timido tentativo di salvare la vita a Gesù, si fece portare una bacinella d'acqua e, immergendovi le mani, si proclamò innocente del sangue del Cristo, dando così origine alla ben nota locuzione "lavarsene le mani". La Natura, inorridita dall'empio delitto che si stava compiendo, reagì quassù, a migliaia di chilometri di distanza dal luogo dell'evento: le montagne si aprirono, e dove si spalancò la voragine, si formò il lago.

Come ho mostrato in queste righe la zona del Lago di Pilato è avvolta da sempre da un'aura di mistero, ed anche se tutto quello detto fosse solo frutto della fantasia popolare è sempre bello andare in giro per questi luoghi e immaginarsi persone incappucciate intente a svolgere i loro misteriosi riti.
Rifugio Cecchetti nel 1933 prima della sua distruzione.
Prima di chiudere vorrei aggiungere un altra informazione. Leggendo un vecchio testo dei sentieri dei Monti Sibillini ho scoperto che, avventatamente, nel 1933 la sezione dell'Aquila del CAI, ritenendo necessario un punto di appoggio più comodo per effettuare esplorazioni alpinistiche sul vicino Pizzo del Diavolo, costruisce un rifugio nei pressi del Lago di Pilato, e lo dedica a P.E. Cecchetti, morto tragicamente al Gran Sasso.
Il rifugio, edificato in una zona ritenuta immune da pericoli oggettivi, viene distrutto, nell'inverno successivo, da una colossale valanga precipitata dal Monte Vettore, che lo fa letteralmente esplodere, scagliandone i rottami fin sotto la parete est del Pizzo.

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Posted by Unknown | alle sabato, giugno 05, 2010 | 4 commenti

Quando d'improvviso a primavera tutto ingiallisce -parte terza-

segue
PRIMAVERA SILENZIOSA / 3
Ovvero come la Provincia di Ancona sparge insensatamente veleni e morte lungo le strade

CI SONO SOLUZIONI ALTERNATIVE?

Le contraddizioni non finiscono qui, il diserbo dei margini stradali non ha alcuna giustificazione neppure dal punto di vista strettamente tecnico.
Innanzi tutto è bene precisare che la migliore forma di gestione dei bordi stradali è quella dello sfalcio, che garantisce la maturazione, la funzionalità e il miglior aspetto estetico dei margini stradali.
In alcuni casi, a causa della particolare frequenza di ostacoli, come in corrispondenza dei guardrail, risulta difficile intervenire con i più comuni mezzi meccanici di sfalcio, ma esistono numerose, efficaci e valide alternative verdi.

Anche dal punto di vista strettamente tecnico ci sono alternative naturali anche nelle situazioni più artificiose, come sotto i guard-rail; qui infatti si insediano frequentemente comunità di piccole graminacee (Poa annua, Bromus hordeaceus, Vulpia membranacea), mentre in altre condizioni caratterizzate da maggiore povertà di suolo si sviluppano spontaneamente tappeti di crassulaceae (Sedum album e S. rupestre), che svolgono il ruolo di protezione del terreno senza creare alcun problema di sviluppo in altezza e senza alcuna necessità di sfalcio.

Una situazione di confronto pratico che molti di noi possono verificare è lungo l’arteria che collega la Superstrada Vallesina (S.S. 76) con Cingoli. Si tratta di una strada per metà in Provincia di Ancona e per l’altra metà in Provincia di Macerata; chi la percorre quotidianamente per lavoro o chi occasionalmente la utilizza potrà rendersi conto del diverso aspetto e degli effetti vistosamente negativi dovuti al trattamento chimico cui è stata fatta oggetto la parte anconetana, a confronto con la rigogliosa copertura vegetale e le abbondanti fioriture che in questo periodo di primavera si susseguono e si alternano lungo il tratto più vicino a Cingoli.
Margini stradali nei pressi del Conero con protezioni metalliche: sopra dopo il diserbo e sotto con le fioriture di calendula (Calendula suffruticosa), caratteristica dei margini stradali dell’area mediterranea e per le Marche esclusiva della fascia costiera a Sud del Conero (aprile 2010).
Perché combattere con tanto accanimento la vegetazione spontanea, che svolge molteplici funzioni e tanto importanti quanto gratuite, e contrastare una tendenza naturale a noi favorevole?


MA ALLORA, CHI CI GUADAGNA?
Probabilmente la Monsanto, attraverso il suo importatore italiano (GEI, Gestione Erbe Infestanti srl), ha investito molto negli ultimi anni per sostenere la sua campagna a favore dell'uso del diserbo, non solo nei campi coltivati, ma anche nelle aree urbane e lungo le strade (ben sapendo che, una volta iniziato il trattamento, si è costretti a continuare sistematicamente l’irrorazione per evitare l'esplosione delle piante più aggressive, come l’avena, che si troverebbero un ampio territorio di conquista non più presidiato dalla vegetazione spontanea).
Sarebbe interessante conoscere il significato di questo grafico (realizzato dalla Società GEI), molto inquietante per gli accostamenti tra sostanze alimentari e il diserbante (Rodeo Gold) prodotto dalla Monsanto, illustrazione utilizzata in una delle presentazioni che sono state alla base anche del “progetto” della Provincia di Ancona.
Altra inquietante supposizione è che tanti interventi, che appaiono a prima vista irrazionali o frutto di superficialità e distrazione, non siano altro che azioni programmate ad alimentare e mantenere attive tante piccole situazioni di fragilità, che possano prima o poi trasformarsi in dissesti apparentemente di origine naturale, in modo da attivare ciclicamente procedure di urgenza ambientale e drenare in questo modo finanziamenti che altrimenti non sarebbero disponibili.


COSA FANNO ALTRE REGIONI?
Altre amministrazioni hanno fatto scelte molto più sagge e diametralmente opposte.
Ad esempio la regione Toscana ha varato, in data 1 luglio 1999, una Legge Regionale (la n. 36) dal titolo Disciplina per l’impiego dei diserbanti e geodisinfestanti nei settori non agricoli e procedure per l’impiego dei diserbanti e geodisinfestanti in agricoltura.

All’articolo 6 essa prevede che i prodotti impiegati devono avere caratteristiche di minima persistenza ambientale accertata con la registrazione del prodotto e non devono riportate in etichetta indicazioni di tossicità per la fauna terrestre e acquatica, nonché per la microflora e la microfauna (esclude pertanto automaticamente l’uso del glyphosate). La stessa Legge 36 prevede inoltre che: chiunque per sé o per conto terzi, impiega prodotti fitosanitari contenenti sostanze ad azione diserbante e geodisinfestante, destinati all’utilizzo per scopi non agricoli deve richiedere ed ottenere il nulla-osta di carattere sanitario del Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda USL competente per territorio …l’area trattata deve essere delimitata e segnalata da parte dell’operatore addetto al trattamento con cartelli di pericolo e di divieto di accesso alle persone non autorizzate sia durante il trattamento che per tutto l’intervallo di agibilità, stabilito in almeno 48 ore …le aree interessate dai trattamenti devono trovarsi a non meno di 10 metri dalle abitazioni e dai ricoveri degli animali … le aree interessate dai trattamenti devono altresì trovarsi a non meno di 10 metri dalle strade di pubblico passaggio.

Anche la Provincia di Olbia, già nel 2008, ha varato un regolamento che vieta tassativamente l’uso di diserbanti al di fuori delle aree coltivate ed inoltre nelle norme approvate da numerosi comuni italiani all’interno dei Regolamenti di Polizia rurale e in quelli relativi al Verde pubblico e privato non mancano indicazioni specifiche che vietano l’uso della pratica del diserbo nei margini stradali e al di fuori delle aree coltivate.


CHE FARE?
Una manifestazione di protesta per chiedere una legge che divieti il diserbo al di fuori delle aree coltivate in tutto il territorio regionale.
La proposta che faccio è quella di programmare, attraverso il Coordinamento per la tutela del Paesaggio delle Marche e la partecipazione di tutte le Associazioni, le Organizzazioni e i Comitati che vorranno aderire, entro breve tempo una conferenza-manifestazione che affronti i principali nodi del tema, alla quale invitare il Presidente del Consiglio regionale, con l’impegno a varare una legge che disciplini questa materia e sancisca il divieto del diserbo sistematico, anche per le arterie stradali gestite dall’ANAS e dalla Società Autostrade (da quest’anno trattate estesamente con questa pratica inutile, dannosa e antiestetica), oltre che un impegno concreto a sostenere politiche attive che incoraggino un uso virtuoso delle risorse ambientali ed evitino ulteriori ed inutili danni all’ambiente e al paesaggio delle Marche (così come promesso nei programmi elettorali dai rappresentanti di ogni parte politica).

Una raccolta di dati per una documentazione più capillare ed esaustiva.
Chiedo a quanti sono interessati di farmi avere (f.taffetani@univpm.it) una breve documentazione fotografica (con indicazione della data e della località), dei danni provocati dall’uso indiscriminato del diserbo, anche da parte di agricoltori e di privati cittadini, nei territori di propria conoscenza. Ne potremo allestire una mostra durante la conferenza-manifestazione e costituiremo un dossier a sostegno della nostra protesta e della richiesta di interruzione immediata di questa barbarie.

Una lettera di protesta ai responsabili della Regione Marche e della Provincia di Ancona.
Prego inoltre quanti condividono le considerazioni e le preoccupazioni sopra riportate ad inviare al Presidente del Consiglio della Regione Marche (Raffaele Bucciarelli, presidente@consiglio.marche.it) e al Presidente del Consiglio Provinciale di Ancona (Patrizia Casagrande Esposto, p.casagrande@provincia.ancona.it) una mail di protesta per questo inqualificabile progetto della Provincia di Ancona (anche da parte di quanti, provenendo da altre provincie e regioni, sono stati domenica 18 aprile nel capoluogo dorico per la manifestazione “Le Piazze Bio” dove si sono incontrati cittadini che credono nella qualità e nel beneficio di un ambiente più sano e agricoltori che hanno investito su di una agricoltura senza chimica, mentre degli stessi veleni ne abusa chi non proprio ne ha bisogno e dovrebbe garantire una corretta gestione del territorio e il rispetto delle norme per un ambiente più sano e sicuro).


IN CONCLUSIONE
Siamo ormai consapevoli che l’ambiente è una risorsa unica e limitata, perché questa coscienza possa dare frutti dobbiamo cambiare abitudini, modi di pensare e c’è molto lavoro per ciascuno di noi! Sia dal punto di vista pratico, che sul piano informativo, ma anche nella formazione dei tecnici e degli amministratori che operano nel settore ambientale ed infine sul ruolo dei mass media e di noi cittadini.
Allego una motivata petizione di Piero Bevilacqua per l’abbandono della pratica del diserbo, inutile e pericolosa fuori delle aree coltivate, ma altrettanto dannosa nelle campagne dove viene peraltro attuata, sempre più spesso, in modo indiscriminato.
Per concludere: una frase che sintetizza una concezione per un futuro della vita nel nostro pianeta (Fritjof Capra, La rete della vita, Rizzoli, 1997):

La sopravvivenza dell’umanità dipenderà dal nostro grado di competenza ecologica, dalla nostra capacità di comprendere i principi dell’ecologia e di vivere in conformità con essi.

Affinchè una situazione come questa divenga per tutti occasione per una vera passeggiata salutare e non un rischio inutile per la nostra vita, per la qualità dell’ambiente e per il patrimonio che lasceremo alle prossime generazioni.


Prof. Fabio Taffetani
Ordinario di Botanica sistematica
Dipartimento di Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali
Via Brecce bianche
Università Politecnica delle Marche
60131 ANCONA (ITALY)

tel. +039.071.2204642
fax +039.071.2204953
e-mail f.taffetani@univpm.it
web www.museobotanico.univpm.it
pag. pers. www.univpm.it/fabio.taffetani
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Posted by muscosa | alle mercoledì, maggio 12, 2010 | 0 commenti

Quando d'improvviso a primavera tutto ingiallisce -parte seconda-

segue
PRIMAVERA SILENZIOSA / 2
Ovvero come la Provincia di Ancona sparge insensatamente veleni e morte lungo le strade

"CRESCITA” CONSUMISTICA O IN ARMONIA CON LA NATURA?
La conservazione della biodiversità è una sfida che si combatte non solo in lontane foreste equatoriali, ma anche nel territorio che ci circonda e nel quale viviamo. Il “Countdown 2010” dell’Unione Europea, è giunto alla scadenza ma, nei fatti, siamo ben lontani dalla fase auspicata di rallentamento del processo di deriva genetica e neppure della perdita di biodiversità e di naturalità su ampi territori. Né si intravedono prospettive ottimistiche, soprattutto per come viene concepita la crescita economica, ancora ampiamente svincolata e troppo spesso in stridente contraddizione con la sua presunta sostenibilità. Tutto viene monetizzato, anche la vita umana e la sua qualità, ma non siamo ancora riusciti a misurare e a rendere neppure lontanamente operativo il valore economico, sociale e culturale delle risorse naturali (acqua, aria, suolo, piante, animali, habitat, paesaggio, ecc.).
Oggi la crisi economica mondiale ha messo in discussione molte certezze, ma le prime risposte, escluse quelle provenienti da oltre oceano (quelle degli USA e comunque da verificare nei fatti), fanno presagire che si tenti di cambiare forma, non la sostanza.
Tra questi obiettivi, la tutela delle specie vegetali e degli habitat minacciati e l’arresto della perdita di biodiversità costituiscono sicuramente delle priorità e non solo per le ricadute negative più o meno dirette (come il degrado del paesaggio), ma anche per le stesse prospettive economiche (basti pensare quante nuove professioni e possibilità di vero sviluppo vengono perse nei settori naturalistico, turistico, culturale e ambientale). Nel nostro territorio italiano, così fortunato anche nella dotazione ambientale, la crisi di molti habitat naturali e la frammentazione delle popolazioni delle specie selvatiche (dovuti all’urbanizzazione selvaggia e all’eccessiva pressione nelle aree agricole produttive, ma anche all’abbandono delle zone montane e marginali) hanno condotto alla scomparsa locale e anche all’estinzione numerose specie vegetali, un tempo comuni (basti ricordare, per le aree agricole, non solo il fiordaliso o il tulipano dei campi, ma anche il più banale papavero) e di grande importanza biologica, insieme a un imprecisato numero di specie animali, delle quali (come accade per molti insetti) spesso non ne supponiamo neppure l’esistenza.


IL MONDO E’ CAMBIATO, LA POLITICA NO!
L’interesse verso le piante, grazie anche alla riscoperta ed al recupero di usi e tradizioni popolari, è negli ultimi anni costantemente cresciuto nell’opinione pubblica, ma a questo fenomeno non è corrisposto un aumento dell’attenzione, se non di tipo epidermico, da parte della politica e di molti settori applicativi e tecnici della società, compresi gli operatori dell’informazione.
In una situazione come quella attuale caratterizzata da una lenta ma progressiva presa di coscienza della necessità di rivedere profondamente il concetto di “progresso economico” e di “qualità della vita”, dell’importanza di conservare la biodiversità (Direttiva Habitat e Countdown 2010, solo per ricordare gli impegni da parte dell’Unione Europea), la necessità dal punto di vista scientifico e tecnico di affrontare i problemi in modo complessivo, in modo da superare la visione settoriale (che porta spesso a scelte profondamente sbagliate) e che permettano di tenere conto della complessità dei sistemi ambientali, il tentativo di superare la difficoltà di dialogo tra politici, ricercatori, responsabili di settore delle amministrazioni pubbliche e i diversi tecnici che si occupano di problematiche ambientali (fiumi e bacini idrici, strade, turismo, agricoltura, protezione civile, ecc.), risulta veramente incomprensibile e anacronistica la scelta delle Provincia di Ancona di puntare su un progetto in aperta contraddizione con tutti gli obiettivi generali di sostenibilità ambientale e di corretta gestione del territorio.
Ci sono sempre più agricoltori che utilizzano erbicidi in modo irresponsabile anche al di fuori delle aree coltivate, ma anche semplici cittadini che irrorano le fasce erbose con diserbanti per evitare lo sviluppo della vegetazione spontanea senza valutare minimamente gli effetti negativi sulla perdita di biodiversità, di maturità, di stabilità e di funzionalità, oltre che sulla stabilità del terreno. La pratica del diserbo, erroneamente considerata una alternativa allo sfalcio, viene ora proposta dall’Amministrazione Provinciale di Ancona per il “decoro” delle strade pubbliche e con la inconsistente scusa di combattere le allergie da polline (ben sapendo che, una volta effettuato il primo trattamento, si sarà costretti a continuare anche negli anni successivi per evitare la proliferazione delle erbe più aggressive, libere di espandersi in seguito alla scomparsa della vegetazione che presidiava il terreno).
Margini stradali (tutt’altro che decorosi) presso la Selva di Castelfidardo (sopra, marzo 2009) e esempio di strada con fioritura di ranuncoli, semplicemente trattata con lo sfalcio, all’interno del Parco del Conero (sotto, marzo 2009).
Situazioni così manifestamente assurde si verificano a causa dell’assurdo e irrazionale modo di intervenire nelle complesse problematiche ambientali senza una adeguata preparazione, con criteri angusti e obiettivi estremamente limitati, oltre che in un contesto culturale dove la condizione naturale è quella che appare come disordinata e meno attraente, mentre quella artificiale viene considerata, anche dal grande pubblico e dagli organi di informazione, come ordinata e rassicurante.


GLI HABITAT
I margini stradali vengono trattati come si trattasse di situazioni uniformi e ripetitive. In realtà le strade, soprattutto quelle di interesse provinciale e locale, attraversano ambienti assai diversi e toccano numerosi habitat, spesso di grande interesse, anche per il semplice fatto che in tutta la fascia collinare, dominata dall’agricoltura industriale e dagli insediamenti urbanizzati, gran parte della biodiversità è ormai rimasta concentrata lungo la viabilità e lungo i fiumi.
Due esempi dei numerosi e assai diversi habitat che possono essere attraversati dalle strade pubbliche: sopra parete calcarea con fioritura di ombrellini pugliesi (Tordylium apulum) sulla provinciale del Conero (aprile 2010); sotto ambienti umidi con popolamenti di farfaraccio (Petasites hybridus) sul fondovalle del Boranico (affluente dell’Aspio) lungo la strada che da Camerano scende all’acquedotto e poi risale verso il Conero, (aprile 2010).

SFALCIO E DISERBO NON SONO PRATICHE ALTERNATIVE
Non esiste una alternativa sfalcio-diserbo in quanto si tratta di due modalità di intervento che hanno finalità, procedure e risultati completamente diversi e che vanno utilizzate in situazioni e con obiettivi profondamente diversi.
Lo sfalcio permette di controllare la rigogliosità della copertura erbosa dei prati (sia quelli del verde urbano, che quelli delle praterie secondarie della fascia collinare e montana), delle aree non coltivate, delle aie e dei margini erbosi stradali favorendo le piante perenni (prevalentemente emicriptofite) e che tendono a coprire uniformemente il terreno e a maturare arricchendosi di altre specie e mantenendo stabilmente la copertura (e la protezione) del terreno. Rappresentano cioè la migliore protezione del terreno sia dall’erosione che dall’ingresso delle erbe annuali e aggressive. Le cenosi che si sono adeguate alle condizioni locali e strutturate compenetrandosi, anche negli apparati radicali, dopo decine di anni di gestione attraverso lo sfalcio, nelle fasi di maturità raggiungono una omeostasi che permette loro di mantenere uno stadio di stabilità che può tollerare lunghi intervalli di tempo (anche di qualche anno) tra un intervento di taglio e quello successivo.
Il diserbo, pratica che è nata e dovrebbe rimanere limitata agli stretti terreni coltivati, serve a eliminare la competizione delle specie spontanee con le piante coltivate, e determina, quando viene utilizzata in modo improprio e su grandi superfici della componente erbacea delle scarpate stradali, un immediato azzeramento della maturità raggiunta e della complessità delle cenosi vegetali gradualmente maturate, selezionate ed adattate dopo diverse decine di anni (dai 30 ai 50) di pratiche gestionali corrette.
Sopra margini stradali (tutt’altro che decorosi) presso Camerano (maprile 2010) dove sono già stati effettuati sia il deiserbo che lo sfalcio; sotto a confronto un esempio di strada con fioritura di radicchi ella (Hyoseris radiata), lungo la provinciale all’interno del Parco del Conero (aprile 2010), a rischio diserbo, ma che oltre ad essere particolarmente gradevole ha “il difetto” di ridurre naturalmente lo sviluppo vegetativo della comunità vegetale!

NESSUN VANTAGGIO
E’ bene chiarire che il diserbo dei bordi stradali, rispetto al tradizionale intervento di sfalcio, non presenta nessun vantaggio:
- l’aspetto dei bordi trattati è oltremodo sgradevole dal punto di vista estetico (FOTO);
- non limita in alcun modo il numero degli interventi in quanto non elimina la necessità delle operazioni di sfalcio;

Effetti degli interventi di diserbo: sopra lungo la strada Pianello di Jesi – Poggio San Marcello, una delle prime ad avere avuto il privilegio di essere inserita tra quelle prescelte per le prove (marzo 2009); sotto lungo la strada che da località Crocette di Castelfidardo scende verso la Statale Adriatica passando sotto la Selva (marzo 2009).


DANNI DA DISERBO
In compenso il trattamento con fitofarmaci determina numerosi danni diretti e crea le condizioni per effetti negativi anche gravi e a volte non recuperabili:

- non permette alla vegetazione seminaturale di svolgere il ruolo di difesa del terreno ed espone le scarpate stradali all’erosione e agli smottamenti, che nella nostra regione, data l’abbondanza della componente argillosa dei terreni è particolarmente diffuso e grave (FOTO);
Sopra: smottamento di una scarpata stradale risultato immediato dell’intervento di diserbo. Si noti come la frana abbia interessato esclusivamente il tratto di scarpata dove era stato realizzato il diserbo (marzo 2010); sotto: disastrato tratto della strada Provinciale dell’Aspio, presso Polverigi, ormai da anni in frana continua ed inarrestabile (esempio illuminante di tutto ciò che non si dovrebbe fare per evitare un dissesto, che può essere stato determinato solo da completa ignoranza o da cinico calcolo).

- arreca danni gravi alla vegetazione, che perde istantaneamente diversi decenni di maturazione accumulati con il tempo, e provoca la scomparsa locale di numerose specie e l’impossibilità, in alcuni casi del ritorno allo stato precedente, neppure dopo l’abbandono della pratica (dopo due o tre interventi in anni successivi si annulla anche la carica dei semi del terreno);
- arreca danni diretti ed indiretti anche alla fauna minore, basti pensare agli effetti sulle popolazioni di carabidi che hanno uno stretto rapporto col terreno e con la qualità della copertura erbacea;
- rende obbligatorio l’intervento anche negli anni successivi, in quanto le fasce denudate se non più trattate vengono invase da poche specie annuali particolarmente vigorose ed aggressive;
- si acquistano attrezzature e prodotti chimici inutili, oltre che dannosi, mentre non si investe nel miglioramento delle conoscenze, della preparazione dei tecnici, oltre che nell’adeguamento dei mezzi e delle tecniche di manutenzione delle scarpate.
- si determina una perdita di maturità degli ecosistemi marginali, con conseguente riduzione della complessità e della funzionalità sia dal punto di vista vegetale che animale; tenendo conto peraltro che in molte aree collinari le strade costituiscono gli ultimi centri di conservazione della biodiversità.
Un esempio chiarificatore: se la Provincia di Pesaro-Urbino dovesse adottare questo assurdo progetto ci sarebbe la concreta possibilità di decretare la scomparsa definitiva di una specie, una delle poche endemiche della nostra regione, la Polygala pisaurensis, che vegeta unicamente proprio sulle scarpate stradali della fascia subcostiera tra Pesaro e Fano.

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Posted by muscosa | alle martedì, maggio 04, 2010 | 0 commenti

Quando d'improvviso a primavera tutto ingiallisce -parte prima-

La vita frenetica che si conduce spesso, troppo spesso, ci rende non più capaci di osservare.....fino a quando un sentito appello, quello del Prof. Fabio Taffetani Ordinario di Botanica sistematica all'Università Politecnica delle Marche, non ci risveglia da una sonnolente ed egoistica indifferenza e ci rende partecipi e coscienti di una realtà non più accettabile, non più sostenibile.
Ci vogliono convincere della indispensabilità ed assoluta validità di certi interventi; ma la tutela dell'ambiente? E la tutela della salute pubblica? E la conservazione della biodiversità? L'Italia non si è assunta l'ambizioso impegno di arrestare la perdita di biodiversità entro il 2010? Tante sono le domande che la lettura del documento solleva.
Il dossier del Prof. F. Taffetani se riferito ad una specifica provincia italiana, quella anconetana, denuncia un comportamento e un modo di pensare dilagante anche in altre aree del territorio italiano, magari proprio vicino alle nostre abitazioni...
Muscosa

PRIMAVERA SILENZIOSA / 1
Ovvero come la Provincia di Ancona sparge insensatamente veleni e morte lungo le strade

Appello di Fabio Taffetani
(Botanico dell’Università Politecnica delle Marche, Ancona)

UNA PRATICA ASSURDA
Sono profondamente indignato, e così tutte le persone con le quali ho avuto occasione di parlarne, per l’arroganza, la superficialità e l’ignoranza dimostrate dalla Provincia di Ancona nel perseguire l’insensato progetto di trattare sistematicamente i bordi stradali con diserbante.
Sembra proprio che, 50 anni dopo la pubblicazione di Primavera silenziosa, la maledizione della pazzia autodistruttiva che Rachel Carson presagiva, già all’inizio degli anni sessanta, osservando i primi effetti dell’abuso irrazionale della chimica nelle campagne americane (Silent Spring, 1962), stia giungendo alle sue fasi più preoccupanti anche nella nostra regione, un territorio che dovrebbe avere cultura, tradizioni, prodotti della terra, paesaggio e ambiente tra le risorse più preziose e condivise.
Ci sono sempre più agricoltori che utilizzano il diserbo anche al di fuori delle aree coltivate, ma anche semplici cittadini che irrorano le fasce erbose sotto casa con erbicidi per evitare lo sviluppo delle erbe infestanti. La pratica del diserbo nata per il controllo delle commensali in agricoltura, erroneamente considerata come alternativa allo sfalcio, viene ora proposta dall’Amministrazione Provinciale di Ancona, sostenuta dalle industrie chimiche che producono il diserbante più aggressivo e meno selettivo oggi sul mercato (il glyphosate), per il “decoro” delle strade pubbliche e con la scusa di combattere le allergie da polline (in realtà, anziché ridurre le fonti di produzione di polline, se ne determina un aumento significativo con la proliferazione delle graminacee, oltre alla nebulizzazione nell’aria di principi chimici tossici anche in aree urbanizzate e ad alta intensità di traffico), ben sapendo che, una volta effettuato il primo trattamento, si dovrà continuare anche negli anni successivi per evitare la proliferazione delle erbe più aggressive, libere di espandersi, in seguito alla scomparsa della vegetazione che presidiava il terreno.
Un istrice travolto lungo la Direttissima del Conero sullo sfondo di una fascia erbosa appena sottoposta al diserbo: l’animale, ucciso da un’auto e non dal glifosate, è tuttavia un simbolo della morte gratuita distribuita con la partecipazione attiva della Provincia di Ancona che, anziché favorire il mantenimento e la crescita della naturalità di strade e corsi d’acqua, ne determina, con l’uso indiscriminato e gratuito del diserbo, l’alterazione e la perdita di biodiversità (aprile 2010).

“C’era una volta una città nel cuore dell’America dove tutta la vita sembrava scorrere in armonia con il paesaggio circostante … d’improvviso un influsso maligno colpì l’intera zona, ed ogni cosa cominciò cambiare … dappertutto aleggiava l’ombra della morte … giunse per i meli la stagione della fioritura, ma le api non danzavano più fra le corolle; non vi fu quindi impollinazione e non si ebbero frutti … i bordi delle strade, prima tanto attraenti, erano adesso fiancheggiati da una vegetazione così brulla ed appassita che sembrava devastata da un incendio … nessuna magia, nessuna azione nemica aveva arrestato il risorgere di una nuova vita: gli abitanti stessi ne erano colpevoli”.

Brano tratto dal libro Primavera silenziosa nel quale Rachel Carson presagiva le catastrofi ambientali, che abbiamo vissuto negli ultimi decenni, osservando i primi effetti dell’abuso irrazionale della chimica nelle campagne americane.


UNA PROVINCIA FUORI LEGGE
Inaspettatamente, i colori della primavera nell’anconetano quest’anno, anziché il verde brillante ed i vivaci colori delle fioriture, sono marrone, ruggine e arancione (FOTO); la Provincia di Ancona ha infatti iniziato ad applicare interventi estensivi e sistematici di diserbo lungo le strade di sua competenza, tanto che a partire da questa stagione avrà qualche problema a esporre nei cantieri stradali il classico cartello “STIAMO LAVORANDO PER VOI”.
Margine erboso trattato con diserbante sistemico: non c’è alcun beneficio né estetico (solo a guardarlo fa venire l’orticaria, non solo in senso figurato, procurando irritazioni cutanee e altre reazioni allergiche), né beneficio funzionale perché viene eliminata la vegetazione naturale che per vari decenni ha protetto efficacemente il terreno (esponendolo così all’erosione), né tantomeno beneficio economico in quanto c’è comunque la necessità di intervenire con lo sfalcio sia sulla parte non trattata che su quella disseccata, soprattutto dove la vegetazione è già sviluppata al momento del trattamento.
Come si può giustificare infatti il mancato rispetto di criteri elementari di precauzione e di conservazione del patrimonio naturale, oltre che di norme basilari di sicurezza dei cittadini, da parte di un ente pubblico nello svolgimento di un’attività di servizio?


IL GLIFOSATE E’ CERTAMENTE TOSSICO PER LA VITA ACQUATICA
Tra le precauzioni d’uso del diserbante utilizzato (basato sul principio attivo del glyphosate) è infatti tassativamente vietato irrorare i bordi dei corsi d’acqua e delle zone umide a causa della sua accertata tossicità, anche a basse concentrazioni, sugli organismi acquatici. Eppure le pompe di veleno della Provincia non si sono fermate di fronte a canali e collettori (FOTO) posti ai lati delle strade.
Evidenti effetti degli interventi di diserbo sui fossi laterali che drenano la base del versante lungo la strada che dal fondovalle della Vallesina, all’altezza di Jesi, sale verso Mazzangrugno (marzo 2010).

Sui rischi per tutti derivanti dall’uso di fitofarmaci e sui danni che sono stati procurati in tutto il mondo dalla sola multinazionale americana della chimica produttrice del principio attivo glyphosate, è sufficiente la documentazione raccolta dalla giornalista francese Marie-Monique Robin sull’ormai famoso libro “Il mondo secondo Monsanto” (Arianna Editrice, Aprile 2009).

Importanti da conoscere sono anche i risultati di un lavoro di ricerca (Differential Effects of Glyphosate and Roundup on Human Placental Cells and Aromatase. S. Richard, S. Moslemi, H. Sipahutar, N. Benachour, and G.-E. Seralini - Laboratoire de Biochimie et Biologie Moleculaire, USC-INCRA, Université de Caen, Caen, France. Environmental Health Perspectives, Vol. 113/6, June 2005: 716-720) che contraddice la presunta innocuità del diserbante a base di glyphosate del quale riporto una sintesi delle considerazioni conclusive.

"I nostri studi dimostrano che il glyphosate agisce come un distruttore dell’attività della citocromo P450 aromatasi dei mammiferi a concentrazioni 100 volte inferiore a quelle consigliate nell'uso in agricoltura; questo è evidente sulle cellule della placenta umana dopo solo 18 ore, e può anche influenzare l'espressione genica dell’enzima aromatasi. Sembra anche che parzialmente perturbi l'onnipresente reduttasi attività, anche se a concentrazioni più elevate. … Inoltre, a più alte dosi ancora al di sotto della classica diluizione a scopo agricolo, la sua tossicità su cellule della placenta potrebbe indurre alcuni problemi di riproduzione".


LA LEGGE REGIONALE 25/88 VIETA L’USO DI FITOFARMACI NELLE AREE URBANE
Ma, come se non bastassero i gravi motivi sopra riportati, gli irroratori della Provincia non si sono arrestati minimamente alla periferia e neppure all’interno dei centri abitati (FOTO), nonostante una legge regionale faccia espresso divieto di uso di fitofarmaci in ambito urbano (L.R. n. 25 del 1988).
Due immagini esemplificative dei numerosi interventi eseguiti anche all’interno di aree urbane: sopra nei pressi dell’abitato di Sappanico in Comune di Ancona (ma non è stata risparmiata neppure la molto più urbanizzata via Pinocchio-Tevernelle) e sotto nell’area urbana di Filottrano (aprile 2010)

Considerando che gli effetti del trattamento con diserbanti sistemici si manifestano a distanza di qualche giorno, c’è il rischio concreto che, soprattutto lungo le strade di periferia e in quelle meno trafficate, qualcuno raccolga lungo i margini stradali piante spontanee per uso alimentare (come gli asparagi selvatici o le cicoriette spontanee, molto ricercati in questo periodo) senza rendersi conto della contaminazione chimica. La mancanza di qualunque segnalazione degli interventi fino ad oggi eseguiti dalla Provincia di Ancona risulta quindi particolarmente grave e lesiva della sicurezza dei cittadini.
Cartello di avvertimento del Comune di Montecatini Terme, che informa i cittadini del pericolo al quale sono esposti e diffida, non solo di raccogliere, ma anche di toccare le piante per almeno 48 ore. Periodo peraltro spesso insufficiente alla manifestazione dei segni di disseccamento.


I DANNI SUPERANO LARGAMENTE I BENEFICI (AMMESSO CHE CI SIANO)
Occorre precisare peraltro che l’uso estensivo e sistematico del diserbo prevede una lunga serie di controindicazioni, tra le quali:
- mette a rischio la salute degli operatori (che si possono proteggere) e della popolazione (ignari automobilisti, motociclisti, ciclisti, pedoni, raccoglitori, agricoltori, cittadini) nebulizzando un prodotto chimico tossico che agisce a distanza di vari giorni (a secondo della concentrazione può manifestare i suoi effetti a distanza di diversi giorni e permanere nel terreno e sulla vegetazione almeno per una settimana) lungo le strade e negli abitati;
- espone le scarpate sottoposte al diserbo a frane e smottamenti e conseguente elevato rischio di provocare incidenti stradali durante gli eventi piovosi e nelle ore notturne;
- abbassa drasticamente la biodiversità vegetale ed animale e la capacità di autoregolazione dei numerosi habitat seminaturali che garantiscono, oltre ad un aspetto gradevole, la funzionalità e la biodiversità biologica delle scarpate stradali;
- riduce sensibilmente l’assorbimento dell’anidride carbonica e l’abbattimento delle sostanze azotate da parte della copertura vegetale eliminata.

Con quale autorità la Polizia provinciale potrà intervenire nei casi di violazione di queste norme da parte di operatori agricoli o di semplici cittadini quando è la stessa amministrazione a eluderle?

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Posted by muscosa | alle giovedì, aprile 29, 2010 | 2 commenti

Il Lago di Pilato tra storia e leggenda/1

"Un alone di mistero circonda la catena dei Monti Sibillini, un'atmosfera incantata vi si respira. Pizzo del Diavolo, Gola dell'Infernaccio, luoghi dai chiari richiami demoniaci ed infernali, preludio di incontri spaventosi ed orridi. Cima del Redentore, Scoglio del Miracolo, Valle dei Tre Santi, luoghi dai distinti riferimenti mistici e spirituali, testimonianza della timorosa e rispettosa devozione popolare. Ed ancora Monte Sibilla, Grotta delle Fate, Fonte del Guerin Meschino, luoghi mitici e fiabeschi. E' una terra di opposti quella dei Monti Sibillini, una terra popolata da stregoni, fate, negromanti e personaggi misteriosi. E' una terra dove vivo è ancora il mito della Sibilla Appenninica, dove i racconti e le leggende si rincorrono, intrecciandosi con la storia, fino a fondersi con la stessa nella sottile linea di confine tra fantasia e realtà."

E' proprio in questo contesto che si colloca il Lago di Pilato. Situato nel Parco dei Monti Sibillini è l'unico lago naturale della regione Marche e sicuramente uno degli ultimi laghi di origine glaciale rimasti nell'Appennino. A 1949 m di altitudine s.l.m., è collocato in una conca, un circolo glaciale con accumuli morenici segno evidente dei ghiacciai presenti durante l'era del Quaternario. Circondato dalle più alte vette dei Monti Sibillini (Monte Vettore - 2476 m, Punta di Prato Pulito - 2373 m, Cima del Lago - 2422 m, Cima del Redentore - 2448 m, Pizzo del Diavolo - 2410 m) nella stagione del suo massimo invaso è lungo circa 500 m, profondo 15-20 m e largo, nella sua parte centrale, 125-150 m.

Lago di Pilato - Luglio 2006

Le sue origini, come abbiamo già accennato, sono da far risalire a circa un milione di anni fa, quando, durante le ultime glaciazioni (Riss e Wurm), la lenta ma inesorabile azione dei ghiacci ha dato un notevole contributo al modellamento del territorio, creando i tipici profili ad U e i depositi morenici. Ultime tracce dell'antico ghiacciaio sono i nevai semiperenni che circondano il laghetto. Data la presenza, nelle zone circostanti, di conche e fosse carsiche si ritiene che la sua origine sia determinata anche dall'azione carsica, oltre che glaciale. Un tempo di forma ovoidale, oggi assume la caratteristica forma "ad occhiali". D'inverno il lago in pratica non esiste, essendo sostituito da una coltre nevosa, uniforme, della spessore di molti metri.

il Lago di Pilato durante la stagione invernale
Con lo sciogliersi delle nevi, comincia ad apparire il lago che, al momento del massimo invaso, presenta un corpo unico; la lingua morenica è, infatti, in parte sommersa e il laghetto assume la forma precisa di un paio d'occhiali uniti dal sottile ponticello centrale. Col diminuire dell'apporto delle nevi, il livello del lago su abbassa, la morena si scopre sempre più, fino a dividere lo specchio d'acqua in due parti. Tale divisione è più evidente, negli ultimi decenni, a causa del continuo franamento di numerosi detriti provenienti dalle monti circostanti. Inoltre, mancando di immissario il livello delle acque subisce forti oscillazioni estive. L'emissario, invece, è ipogeo. L'unico indizio di questo emissario lo abbiamo in primavera. In questo periodo, ma a volte anche all'inizio dell'estate, è possibile scorgere nei pressi del lago, poco più a valle, la Fonte del Lago, unica fonte di questa valle (oltre alla Fonte Matta ma che essendo "matta" non è sempre presente). Da molti il lago è ritenuto anche la vera sorgente del fiume Aso. Questo fiume mostra il suo corso in superficie solamente da Foce di Montemonaco, per cui si è sempre soliti indicare come questa la sorgente del fiume.
Nella zona circostante le severe condizioni climatiche non permettono la crescita di specie arboree. La vegetazione è quindi costituita da praterie d'altitudine dominate da graminacee quali la sesleria appenninica, la festuca dimorfa e la festuca violacea. Queste praterie si caratterizzano, inoltre, per la presenza di un cospicuo numero di specie floristiche rare ed endemiche, esclusive dei principali rilievi appenninici, come la stella alpina dell'Appennino, il ginepì dell'Appennino, il papavero giallo appenninico e diverse specie di sassifraga.

Stella alpina dell'Appennino - Valle del Lago di Pilato - Luglio 2005
Per quanto riguarda la fauna, invece, troviamo quella tipica degli ambienti di alta montagna. Tra gli uccelli ricordiamo la coturnice, il falco pellegrino, il fringuello alpino, il sardone, il gracchio alpino e quello corallino. E' inoltre presente la vipera dell'Orsini, una vipera quasi innocua che in Italia è presente solo sulle cime più alte dell'Appennino centrale. Il lago ha una notevole ricchezza di zooplancton pelagico. Nel 1953-54, durante una campagna di ricerche idrobiologiche, organizzata dall'istituto di botanica dell'università di Camerino, fu scoperta la presenza, nel lago, di un crostaceo di una nuova specie. Fu chiamato Chirocefalo del Marchesoni (Chirocephallelus Marchesonii) dal nome dello scopritore. Questo piccolo crostaceo (1 cm di lunghezza) vive qui e in nessun altra parte del mondo. I suoi movimenti sono molto lenti, perciò è facile passargli una mano sotto, mentre nuota, e prenderlo nel palmo. Ma questo sarebbe un errore crudele: il Chirocefalo è abituato alla temperatura della sua acqua, appena sopra lo zero, perciò è sufficiente una permanenza di pochi minuti perché l'acqua trattenuta nel palmo si alzi di pochi gradi, e l'animaletto entri in crisi e muoia.

Chirocephallelus Marchesonii - fonte: internet

Nel 1990 esso corse un gravissimo pericolo d'estinzione, quando, a seguito di due estati particolarmente siccitose, il lago si prosciugò. Mentre il livello scendeva inesorabilmente, nella frenesia di voler salvare il Chirocefalo, gli esperti formularono alcune proposte, la più praticabile delle quali sembrava fosse quella di trasportare acqua (anzi, cubetti di ghiaccio) con una spola di elicotteri ed aerei. Provvidenzialmente, il progetto non trovò attuazione, perché la diversa temperatura, e il diverso tasso di acidità che avrebbe avuto la nuova acqua, sarebbero stati fatali per il gamberetto. Il lago, dunque, nell'estate del 1990, si prosciugò, e molti viderò in ciò la fine del Chirocefalo.

Lago di Pilato - Estate 1990
L'inverno del 1991, invece, fu particolarmente generoso in fatto di precipitazioni nevose, tanto che a Castelluccio di Norcia, alle falde del Vettore, venne misurato uno spessore di ben 14 metri! Con il riformarsi del lago, nella primavera successiva, ecco invece il Chirocefalo balzar di nuovo fuori, più vivo e pimpante che mai. Cos'era avvenuto? Semplice: il Chirocefalo era, sì, morto, ma prima di morire aveva deposto le sue uova, le quali, a differenza del suo proprietario, hanno invece una resistenza straordinaria, tanto da poter resistere fino a due anni di siccità, nascoste sotto i sassi del fondo. Con l'arrivo dell'acqua, le uova si erano schiuse e il gamberetto aveva ripreso a dare fascino al laghetto.
Dal 1990 ad oggi si è avuta anche un altra occasione in cui il lago di Pilato rischio di scomparire. Di realmente pericoloso in questi due periodi è stato soprattutto il can-can mediatico sollevato ed alimentato a vario titolo da personaggi pubblici e privati. Il peggio di sé fu dato dai soliti politici ma anche, ahinoi, da qualche personaggio del mondo accademico.Questi "professori" progettarono una successione di vasche in cemento da collocare lungo la valle; grazie al cielo non se ne fece nulla. Che il lago sia destinato a scomparire è fatto certo: si contraggono i ghiacciai delle Alpi, scompaiono quelli periferici, e il lago incomincerà a prosciugarsi sempre più spesso. Perché quando si parla di emissioni inquinanti, effetto serra, ecc. nessuno sembra preoccuparsi salvo poi strillare indecorosamente quando si manifestano i primi effetti?

Entriamo, ora, nelle leggende che permeano questo luogo. Anzi... ve ne parlerò nel prossimo post: Il Lago di Pilato tra storia e leggenda/2! ;)

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Posted by Unknown | alle domenica, aprile 25, 2010 | 6 commenti